Discriminazione, violenza di genere, disparità economica, gender gap, violenza domestica, stupri, violenza sessuale. Termini che ormai sentiamo e leggiamo giornalmente sui principali media di informazione, con una consapevolezza che varia dal “è successo di nuovo” al “è andata così.”.
I sentimenti davanti a tali notizie sono spesso difficili da gestire e sviscerare e, a volte, possono entrare in contraddizione con l’immagine che il singolo ha della realtà, offrendo una prospettiva nuova in positivo o in negativo.
Lo stupro di Palermo e l’opinione pubblica
È Agosto, sei in vacanza, ti svegli dopo una serata ed accedi su Instagram, accendi la tv, apri un giornale. Insomma, cerchi di restare al passo con le ultime notizie.
Su tutte le prime pagine: violenza di gruppo a Palermo, ragazza stuprata da un gruppo di ragazzi tra i 18 e i 22 anni.
I fatti risalgono alla notte del 7 luglio, quando dopo una serata in Vucciria, una delle zone della movida palermitana, la ragazza, ubriaca, sarebbe stata trascinata presso il Foro Italico e violentata ripetutamente dai ragazzi del gruppo, mentre la scena veniva filmata, per poi essere abbandonata poco distante da lì.
È successo di nuovo.
Ancora una volta, ancora un’altra ragazza, ancora un’altra vittima della convinzione culturale ormai radicata all’interno della società che l’uomo debba essere padrone di tutto, anche del corpo di una donna. Se poi quel corpo è inerme e indifeso, ancora meglio. Perché averne pietà?
Sui social i commenti si rincorrono, c’è chi dice che non sarebbe dovuta restare da sola con gli aggressori, c’è chi sostiene che la donna debba essere libera di fare e bere ciò che vuole senza incorrere in alcuna conseguenza. Ci sono pensieri, pensieri e pensieri che vengono espressi pubblicamente, senza che nessuno si curi del fatto che alcune parole, a volte, sarebbe meglio tenerle per se.
Ed è proprio davanti a queste notizie che si può provare ad aprire un dialogo generazionale, per comprendere in che misura il problema della violenza di genere è insito nella nostra società e se questo sia legato a fattori di età oltre che di cultura e provenienza.
GeneraZioni a confronto
Qualche sera fa mi trovavo al sushi e ho assistito ad una conversazione a dir poco surreale: due donne, sulla cinquantina, chiacchieravano davanti ad una bottiglia di vino. Parlavano di violenze sessuali, di stupri, di ragazze aggredite durante le serate in discoteca. Sembravano due donne abbastanza di cultura, almeno stando ai termini che utilizzavano. Il contenuto, però, aveva dell’irreale: si sono lasciate andare ad un confronto generazionale, cadendo nel cliché del “se escono con i ragazzi, bevono come se non ci fosse un domani e si comportano in maniera disinibita cosa si aspettano? Quando uscivamo noi non esistevano queste situazioni, al massimo un drink e poi subito a casa, rigorosamente in tram, mai a piedi o da sole.”.
Questa, insieme a molte altre considerazioni, mi ha inizialmente pietrificata: davvero viviamo in una società che si aspetta che una donna decida di non uscire, non bere, non tornare a casa sola, non uscire con un ragazzo e mille altri divieti solo perchè, dopo aver subito una violenza, potrebbe anche essere additata come una poco di buono? Davvero viviamo in una società in cui si crede che la donna debba essere una specie protetta, costantemente minacciata da uomini paragonati alle bestie?
A malincuore, la risposta è sì. Ma oggi non voglio parlare di questo tema già trito e ritrito.
Qualche mese prima, infatti, mi ero imbattuta in un’altra scena: ero al mare con delle amiche e parlavamo di una delle diverse violenze sessuali che sono avvenute nel nostro paese in questi ultimi mesi. Poco più in là, due signore di mezz’età ascoltavano le nostre parole e, qualche ombrellone indietro, una ragazza giocava con un amico, cercando di abbracciarlo con il costume bagnato. Gioco che abbiamo fatto tutte, almeno una volta.
Una delle signore si intromette nel nostro discorso dicendo “ragazze mie, dovete imparare anche a comportarvi… quella ragazza lì continua a provocare il ragazzo che è con lei, credete lui possa riuscire a contenersi dopo? Non stupitevi se davanti ad un no poi continuerà, se lei ha passato tutta la giornata a fargliela credere.”.
Ancora una volta, pietrificata. Non volevo crederci. Ma ecco che mi è venuta un’idea: voglio andare affondo a questa situazione, voglio scoprire se realmente la percezione della violenza di genere e della discriminazione sulle donne ha a che fare con una visione generazionale.
Ed è per questo che ancora una volta, con un Google form, noi di Zeta vi abbiamo chiesto di rispondere ad alcune nostre domande. Questa volta, però, abbiamo chiesto di rispondere anche a zie, genitori, parenti, amici e tutti coloro che appartengono ad un’altra generazione, per comprendere qual è la percezione di un problema sempre più dilagante.
Le risposte di Zeta
Vi abbiamo chiesto di compilare e far girare il nostro form, e il risultato è stato rincuorante: la tematica è stata accolta dal 48% delle donne, dal 48,8% degli uomini e da un’altra piccola percentuale che non ha voluto specificare il proprio genere. Anche le fasce d’età che abbiamo raggiunto sono eterogenee, se il 42,9% ha tra i 18 e i 25 anni, la restante parte si divide tra quella fascia di popolazione che ha più di 50 anni (21,4%), tra i 30 e 50 (9,5%) e tra i 25 e i 30 (23,8%).
Lasciamo però un attimo da parte la matematica e concentriamoci su alcune delle vostre risposte.
La stragrande maggioranza – il 76,2% di voi – ha risposto che uomini e donne oggi non sono protetti allo stesso modo all’interno della nostra società. Per niente sorprendente, direte voi. Sì, di certo non abbiamo scoperto l’acqua calda. Ciò che di interessante però c’è da considerare, sono le motivazioni che ci avete fornito quando vi abbiamo chiesto il perché.
“Per una donna è più difficile uscire di casa, per un uomo è più difficile avere ragione in un confronto in tribunale con una donna in caso di divorzio.”
”Le donne possono essere più vulnerabili a reati di natura sessuale.”
”La figura della donna è sessualizzata, per via della società maschilista in cui viviamo”
La maggior parte delle vostre risposte ha toccato questi punti, mettendo in luce come le donne subiscano maggiori violenze, non solo nei momenti di svago ma anche nella vita di tutti i giorni, dal lavoro ai mezzi pubblici e anche dentro le mura di casa.
Vi abbiamo poi chiesto come vi sentite riguardo alle diverse notizie che parlano di donne vittime di violenze sessuali e femminicidi, ormai sempre più ricorrenti e diffuse. Molti di voi ci hanno detto:
“Senza speranza, mi chiedo come sia possibile che gli uomini non sappiano rispettare il corpo o la volontà di una donna.”
”Addolorata, incazzata con lo stato e la giustizia, mi dispero”
”Profondamente scosso”
”non ci sono abbastanza tutele e garanzie per le donne nè a livello statale, nè a livello sociale.”
Purtroppo, qualcuno ha anche commentato:
“Io da ragazza dico che se fai la P*ttana, te la sei cercata”
”succede perché alcune donne non si sanno comportare”
Questa analisi, però, ha messo in luce un aspetto profondamente positivo, che va sottolineato: spesso si ha la credenza che la percezione di problematiche simili sia in mano alle generazioni più giovani, che gli adulti restino quasi indifferenti davanti a notizie simili. Ciò che emerge da questa piccola e modesta analisi è che a mancare, di certo, non è la consapevolezza del problema, che va oltre le fasce d’età.
Se il problema allora c’è, esiste ed è riconosciuto, cosa si può fare per affrontarlo una volta e per tutte, cercando di migliorare? Questo non ve l’abbiamo chiesto, ma possiamo avanzare insieme qualche ipotesi.
Una narrazione distorta
Ciò che viene chiesto alle donne all’interno della nostra società, di recente anche dalla Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, è di fare attenzione, di proteggersi, di tenere gli occhi aperti.
Certo, inutile dirlo: quando il pericolo viene dall’esterno prevenirlo può essere una soluzione.
Peccato che si tratti di una narrazione sbagliata, svalutante nei confronti delle donne e degli uomini: le prime viste come indifese e vulnerabili, i secondi visti come incapaci di resistere agli impulsi e alle tentazioni.
Alla base di questa narrazione, che andrebbe scardinata e che ha radici culturali e sociologiche profondissime, vi è una mancanza ormai cruciale della nostra società, che non può più essere ignorata: è ora che l’educazione sessuale e il diritto antidiscriminatorio entrino nelle scuole.
È ora di educare tutti, senza distinzione, alle differenze fisiologiche che esistono tra i due sessi ma anche all’accettazione di quest’ultime, passando per la loro valorizzazione. È ora di scardinare, attraverso la cultura e la conoscenza, quella convinzione patriarcale che il corpo della donna sia solo un oggetto e che questo corpo possa passare di mano in mano, fino a quando non si troverà davanti quella che la ferirà o che, ancora peggio, porrà fine alla sua vita.
Fino a quando non si otterrà una vera liberalizzazione del corpo delle donne, non si potrà passare per la loro intera autodeterminazione e non si andrà mai a spezzare quel circolo vizioso che si è ormai istaurato e che si poggia su una giustificazione quasi inconscia del fatto che dietro una violenza debba esserci un errore da parte della vittima.
È bello, dunque, pensare che si abbia consapevolezza dell’esistenza di questo orribile problema che attanaglia la nostra società e che è sensibilmente in crescita negli ultimi anni, ma è il caso anche di chiedere che si agisca attivamente questa volta, non solo per chi le violenze le ha subite ma anche per tutte quelle donne e quelle bambine che non meritano di sentirsi costantemente in pericolo per il solo fatto di essere nate con un sesso che non hanno scelto e che è da sempre etichettato come quello “debole”.