“Un altro uomo anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, (…) porrà tale esplosivo nel punto dove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà”
– Italo Svevo in “La coscienza di Zeno”
È il 1923, esattamente cento anni fa, quando Italo Svevo formula questa profezia e ci riporta il ritratto di un’umanità malata, destinata a estinguersi per un suo stesso “ordigno”. È passato un intero secolo e questa percezione apocalittica è un peso che ci portiamo sulle spalle più che mai, ma il paradosso è che è proprio la consapevolezza della morte certa in caso di guerra nucleare ad averci mantenuto in pace per tutti questi anni. Tuttavia questo sistema ora sta vacillando e rischia di frantumarsi definitivamente: la deterrenza non basta più.
È davvero possibile un equilibrio di pace fondato sul terrore della guerra?
C’è sempre una prima volta
Questa storia comincia su un foglio di carta da lettere. È il 2 agosto 1939, entro un mese il mondo si troverà in guerra, e il Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt riceve una lettera firmata “Albert Einstein”: è stato scoperto il fenomeno della fissione nucleare, la Germania potrebbe procedere all’invenzione di una bomba atomica.
È inaccettabile: gli americani devono realizzarla prima dei tedeschi.
In funzione di questo obiettivo, nasce il progetto Manhattan a cui collaborano Stati Uniti, Regno Unito e Canada. Passano 6 anni, il conflitto mondiale è quasi giunto al termine: sono le 8:15 del 6 agosto 1945, e gli Stati Uniti sganciano su Hiroshima la prima bomba atomica, “Little Boy”.
Non è possibile sapere cosa si provi in un momento del genere, ma proviamo a immaginarlo coinvolgendo i nostri sensi. Se ti fossi trovato lì, per prima cosa avresti visto un lampo chiarissimo in netto contrasto con la scurissima nube di fumo a forma di fungo che lo avrebbe seguito.
Dopo la luce, ti avrebbe raggiunto il suono: avresti sentito un rumore improvviso e fortissimo. Se ti fossi trovato a meno di 11 km dal centro, probabilmente quel rumore lancinante sarebbe stato l’ultima cosa che avresti sentito in vita tua: la bomba ti avrebbe incenerito insieme ad altri 70.000 civili. Se invece ti fossi trovato qualche chilometro più in là, avresti sentito sulla pelle sia l’onda d’urto, sia quella di calore, sia lo spostamento d’aria.
Poi, odore di bruciato: da quel momento in poi ti saresti ritrovato ustionato, quella luce vista all’inizio potrebbe averti reso cieco, probabilmente tuo figlio sarebbe nato con delle deformazioni. Le bombe nucleari di oggi avrebbero effetti ancora più devastanti: sono fino a 40 volte più distruttive di quelle di Hiroshima e Nagasaki.
Sganciata Little Boy nel 1945, il mondo è sotto shock: nessuno aveva mai usato un’arma così letale prima d’ora, ma la tragedia non è finita. Passano tre giorni, e il 9 agosto si sgancia una seconda bomba su Nagasaki. La resa del Giappone e la corrispondente fine della Guerra, sono immediate e inevitabili.
Dal verbo deterrere: dissuadere
Ne “L’arte della guerra” Sun-Tzu postula una premessa necessaria al raggiungimento del successo:
“Conosci il nemico, conosci te stesso, mai sarà in dubbio il risultato di cento battaglie.”
Non proprio un equilibrio
Quindi la guerra nucleare ci sarà o no?
Nessuno può rispondere a questa domanda, però possiamo cercare di mettere insieme alcuni pezzi.
Per prima cosa chiariamo che questa non è la prima volta che ci avviciniamo così tanto ad un attacco nucleare, anzi. Nel 1962 a Cuba sarebbe bastato pochissimo per far cadere il mondo in un conflitto nucleare su larga scala. Stessi attori, stesse minacce. Naturalmente però la posta in gioco è diversa, perché di mezzo ora c’è anche la dignità e la credibilità di Putin e del blocco occidentale.
Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, chiarisce un punto fondamentale: manca un obiettivo strategico per l’attacco nucleare. Non possono esserlo i territori dell’est dell’Ucraina (troppo vicini a Lugansk, Donetsk, Kherson e Zaporizhzhia, recentemente annesse con quelli che la Russia considera propri cittadini). Non può esserlo neanche Kiev (come reagirebbe il mondo ad un attacco del genere alla capitale di uno Stato sovrano?). Quindi non è un’ipotesi che permetterebbe a Putin di vincere.
Secondo Lucio Caracciolo, direttore di Limes, nella questione della bomba atomica c’è una forte componente propagandistica: Putin ha bisogno di allarmare e spaventare, di giocare questa guerra anche sulle coscienze e i sentimenti delle persone.
Al forum del Valdai International Discussion Club del 27 ottobre Putin annuncia che sarà il secolo più pericoloso dalla Seconda Guerra Mondiale. Sottolinea anche che lui non ha mai citato la bomba atomica e che è l’Occidente a voler sterminare la Russia. Ciò non esclude tuttavia la possibilità di un attacco nucleare, anzi la rafforza. Il ministero degli esteri russo afferma infatti che un ricorso alle armi nucleari sarebbe giustificato esclusivamente in risposta a un’aggressione con armi di distruzione di massa e qualora l’esistenza stessa dello Stato fosse in pericolo. E Putin sostiene che le intenzioni dell’Occidente siano proprio queste.
In ultima istanza, la risposta è imprevedibile proprio perché ad essere imprevedibili sono innanzitutto le persone, ancor prima delle guerre e delle armi. Tutto ciò che possiamo fare noi è domandarci: è giusto che un pugno di paesi abbia abbastanza armi nucleari da far estinguere l’intera umanità? Vogliamo un equilibrio fondato sul terrore? E soprattutto, è possibile un sistema di pace che si basa sulla paura della guerra?