Guerra civile e crisi umanitaria stanno piegando l’Etiopia

Guerra civile e crisi umanitaria stanno piegando l’Etiopia

Quando il 4 novembre 2020 il primo ministro dell’Etiopia Abiy Ahmed ha ordinato un’offensiva militare contro le forze regionali nel Tigrè dopo che una base dell’esercito era stata sequestrata dai ribelli, ha promesso che i combattimenti sarebbero finiti in poche settimane.

Un anno dopo, il conflitto non solo si è intensificato, ma si è diffuso in diverse regioni. L’Etiopia ha ora dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha chiesto ai cittadini di raccogliere le armi per difendere Addis Abeba, mentre le forze ribelli premono a sud verso la capitale.

Tante etnie, un unico Paese

L’Etiopia è uno dei paesi più eterogenei al mondo, dato che conta circa ottanta gruppi etnici. Le etnie principali sono gli Oromo, gli Amhara, i Somali, i Tigrè e i Tigrini, che insieme compongono più del 70% della popolazione. È importante sottolineare che questa caratteristica multietnicità del paese è fondamentale e si riflette nella composizione dell’impianto istituzionale. Già a partire dagli anni ’90 con la destituzione del regime accentratore del Derg, l’etnicità divenne il nuovo fondamento politico dello Stato, cui fece seguito un graduale processo di destrutturazione della narrativa incentrata sull’etnia Amhara e l’istituzionalizzazione dei vari nuclei etnici e delle rispettive rivendicazioni.

Nonostante le storiche divergenze fra etnie, l’Etiopia era considerata fino a un anno fa il paese più stabile del Corno D’Africa e nel 2019 il primo ministro Abiy Ahmed aveva vinto il Nobel per la Pace per i suoi sforzi nel concludere un accordo di pace con la vicina Eritrea, con cui l’Etiopia era formalmente in guerra dal 1998. Abiy era anche elogiato a livello internazionale per avere avviato una serie di importanti riforme democratiche nel paese.

Fra le principali etnie si trovano gli Oromo, che rappresentano circa un terzo della popolazione etiope, mentre gli Amhara sono il secondo gruppo etnolinguistico d’Etiopia, che tuttavia ha governato più spesso il Paese negli anni successivi alla fine del regime del Derg. Secondo i rapporti di Human Rights Watch, dal 2016 al 2018 sono state più di 21.000 le persone arrestate per aver attentato alla Costituzione e alla sicurezza del Paese: la maggior parte di essi sono di etnia Oromo.

I Tigrè e i Tigrini popolano prevalentemente la regione del Tigrè, governata dallo stesso partito omonimo, e si identificano molto con l’etnia eritreina piuttosto che con quelle del proprio Paese d’origine. La storia dei Tigrè, infatti, è strettamente connessa con la storia dell’Eritrea, poiché combatterono fianco a fianco alla fine degli anni ’80 contro la dittatura di Mengistu, leader del Derg, che unì Etiopia ed Eritrea sotto il governo etiope. Il partito del Tigrè (TPLF) di Zelawi prese il potere in Etiopia nel 1991 e, di comune accordo, l’EPLF (Eritrean People’s Liberation Front) di Afewerki dichiarò l’indipendenza dell’Eritrea nel 1993.

L’obiettivo di sconfiggere i separatisti e la crisi umanitaria

Il partito del Tigrè (TPLF), da anni separatista e contrario al governo federale etiope, a livello regionale aveva perso molti consensi e attenzione mediatica con la salita al potere di Abiy, intenzionato a mediare fra le varie etnie etiopi. Tuttavia, per tornare alla ribalta sulle testate giornalistiche internazionali, all’inizio di novembre 2020, il governo regionale del Tigrè ha lanciato un assedio su vasta scala a una fondamentale base militare etiope a Sero, utilizzando carri armati, cannoni pesanti e mortai.

Definendo l’assalto del TPLF un “tradimento che non sarà mai dimenticato”, il primo ministro etiope Abiy Ahmed ha ordinato un’offensiva federale contro la regione, scatenando il conflitto. Il governo, con l’operazione militare, sperava di prendere presto il controllo della regione separatista, anche grazie all’intervento dei militari eritrei, che erano entrati in Etiopia per combattere a fianco dell’esercito etiope.

Secondo l’Unchr che oltre confine, in Sudan, gestisce i campi di Tunaydbah e Um Rakuba, migliaia di etiopi hanno attraversato il confine a piedi a causa del conflitto. Negli ultimi due mesi in circa 56 mila hanno lasciato il paese e in 220 mila sono dispersi internamente alla regione.

La portata del problema non è ancora chiara. Le Nazioni Unite affermano che le comunità sono state in gran parte incapaci di uscire dalle grandi città, come dalla capitale regionale di Mekele. Finora il conflitto ha ucciso migliaia di persone, molte delle quali sarebbero morte a causa del bombardamento indiscriminato sulle città del Tigrè da parte delle forze etiopi. Un funzionario locale ha dichiarato a Reuters a gennaio che oltre due milioni di persone sono state sfollate a causa dei combattimenti, superando di gran lunga le stime precedenti. Il conflitto minaccia quindi un disastro umanitario regionale.

La convinzione del governo Etiope di poter facilmente sottomettere i ribelli del Tigrè è stata presto smentita. I separatisti, infatti, col tempo sono riusciti a migliorare notevolmente le loro capacità militari, avendo occupato in precedenza anche ruoli di prestigio nell’esercito etiope. I combattimenti durante l’estate sono stati sempre più violenti, con il governo centrale che aveva optato per l’embargo su tutta la regione, impedendo l’arrivo di beni di prima necessità a tutta la popolazione tigrina e tigrè.

Il rovesciamento della guerra e i tentativi diplomatici

Nelle ultime settimane, in maniera piuttosto inaspettata, le operazioni militari si sono estese anche fuori dalla regione del Tigrè. Non era previsto il supporto alla causa separatista da parte del grande gruppo etnico degli Oromo che, grazie ad un consistente esercito, ha dichiarato di aver conquistato città come Combolcià e Dessiè e di avere l’intenzione di raggiungere Addis Abeba. Un gruppo ribelle di etnia Oromo ha detto all’AFP che la conquista della capitale Addis Abeba è “una questione di mesi, se non di settimane”. L’alleanza militare tra i due gruppi è ancora più significativa se si considera che il primo ministro Abiy è di etnia oromo. Nell’ultimo anno, comunque, gli scontri tra gli Oromo e le forze di sicurezza federali si sono intensificati e hanno portato alcune fazioni oromo a riorganizzarsi per combattere il governo centrale, accusato di discriminazioni e violenze.

Il governo federale ha comunque reagito con grande allarme, dichiarando lo stato di emergenza, un provvedimento che gli permetterà nei prossimi sei mesi di adottare misure eccezionali come imporre checkpoint e coprifuochi. Abiy ha anche definito “terroristi” i separatisti e le forze oromo non filo-governative, accusando i ribelli di aver trasformato l’Etiopia “in una Libia o una Siria”, secondo quanto riportato dai media statali Fana Broadcasting Corporate.

Nel frattempo diversi governi stanno cercando di intervenire diplomaticamente per affrontare la crisi. Il governo ugandese ha annunciato che il presidente Yoweri Museveni ha convocato una riunione dei leader dell’IGAD, l’organizzazione dell’Africa orientale, per il 16 novembre. In quella sede si discuterà del conflitto che contrappone il governo centrale  ai Tigrini e ai loro alleati Oromo. Il presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, ha rilasciato una dichiarazione chiedendo che i combattimenti finiscano. Ha invitato le parti rivali “a deporre le armi e a cessare i combattimenti, a parlare e a trovare una via per una pace sostenibile”.

Le truppe del Tigrè si trovano nella città di Kemise, nella regione di Amhara, a 325 km dalla capitale, ha detto mercoledì il portavoce del TPLF, Getachew Reda. Allo stesso tempo, il portavoce del governo etiope Legesse Tulu non ha risposto alle richieste di commento.

Pubblicato da Gabriele Rapisarda

Classe 2001, studio alla facoltà di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Roma Tre. Da sempre appassionato di geopolitica e attualità, soprattutto quella del Medio Oriente e dell'Africa. Sogno di poter visitare i Paesi che studio e nel frattempo leggo tutto quello che trovo a riguardo, che magari torna utile.


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