“Quando la tirannia è legge la rivoluzione diventa ordine”: cosa sta succedendo in Colombia?

“Quando la tirannia è legge la rivoluzione diventa ordine”: cosa sta succedendo in Colombia?

Nelle ultime settimane c’è una domanda che rimbalza da una pagina all’altra dei quotidiani in giro per il mondo: cosa sta succedendo in Colombia?
Dal Covid alle marce di protesta, fino all’enigmatica figura del Presidente Duque, ricostruiamo le ultime settimane in questa Terra a cavallo dell’Equatore.
Consci di assistere a quella che potrebbe essere tanto la stoccata definitiva alle aspre contraddizioni sociali del Paese, quanto la prima pietra miliare di una rinascita più egualitaria.

Una realtà di contrasti

Il Paese, già stremato da anni di politica corrotta, ha accusato pesantemente il durissimo colpo del Covid.
A fronte della crisi economica, il Governo non solo non è stato capace di tendere la mano alla popolazione, ma ha anche deliberatamente calpestato le ultime speranze di ripresa nazionale.
Il Presidente Ivan Duque Marquez, in carica dall’agosto 2018, ha proposto una pressante riforma fiscale pochi giorni fa: la Riforma di Trasformazione Sociale Sostenibile.
Le tasse dovrebbero essere innalzate al fine di aumentare gli introiti statali di 6.3 milioni di dollari; il problema è che ciò andrebbe prevalentemente a discapito della classe medio-bassa, dei lavoratori comuni, in pratica.

Secondo i dati riportati dal quotidiano sud americano Milenio, entro il 2022 verranno tassati sul reddito tutti coloro che guadagnino almeno 2.4 milioni di pesos al mese: badiamo bene che si tratta di appena 656 dollari. Poi nel 2023 la misura verrebbe estesa a chi guadagni almeno 470 dollari. Considerando che il minimo salariale è di 5000 pesos(248$), è chiaro che i nuovi tassati appartengano a classi sociali già di per sé svantaggiate.
Con questo provvedimento la forbice sociale non potrà essere fermata dall’aumentare.
Il progetto iniziale di Duque comprenderebbe anche una tassa sull’utilizzo di plastica monouso e il rincaro di benzina e diesel. Decisione, quest’ultima, che influenzerebbe l’intera catena nazionale di produzione di beni e servizi.

“Sin estrado”: fantasmi urbani

Per poter raffigurare in maniera nitida la condizione Colombiana e comprendere pienamente la palpabile sperequazione del Paese, basterebbe osservare la capitale Bogotà.
La città è divisa in 20 quartieri, le “localidad”, quasi a formare un singolare puzzle di contrasti.
Gli edifici bassi e colorati dove vivono i più poveri, sono sovrastati dai grattacieli delle zone benestanti, simbolo della poca e maldistribuita ricchezza.
Del resto, su una popolazione di circa 51 milioni di persone, 21 vivono in condizioni di povertà; al punto tale da dar vita ad una sorta di sistema di caste: le stesse case sono catalogate dallo 0 al 6, dove 0 corrisponde ai senzatetto.

I più poveri sono detti “sin estrado”, cioè addirittura fuori dalle classi sociali. Come inesistenti, una coltre di fantasmi urbani in costante crescita.
I sussidi statali sono praticamente assenti, il sistema scolastico talmente malandato che gli insegnanti vengono a stento pagati.
In ogni aspetto della vita, i colombiani, si differenziano molto gli uni dagli altri.
Portano orgogliosamente nei tratti somatici l’appartenenza agli svariati ceppi etnici presenti nel Paese: Africani, mulatti, nativi, europei; ci sono circa 85 etnie in Colombia, coinvolte in uno storico melting pot.
Eppure l’elemento definitivo di distinzione tra i colombiani è solo uno: i soldi.

Le proteste sfociate in violenza

A monte di tutto ciò, lo scontento generale acuito dalle ultime vicende politiche, è sfociato in una serie di proteste in tutta la Colombia.
Sono cominciate il 28 aprile scorso nel sud ovest di Cali, con un fermo del lavoro e delle marce di massa.
Le richieste avanzate sono di vedersi assicurato una più alta paga minima, il ritiro della proposta riguardante il sistema tassazione e una riforma del sistema sanitario. Ma non solo: i sistemi brutali della polizia, che si sono guadagnati una fama grottesca negli Stati Uniti, non sono sconosciuti anche in Colombia.
Nel corso delle proteste, il Governo ha risposto con una brutale soppressione: le forze dell’ordine hanno aperto il fuoco sulla folla.
I proiettili attraversano fulminei la densa umidità equatoriale e sull’asfalto di Bogotà muoiono 24 manifestanti.
Altri 89 persone, invece, risultano disperse.

Chi è che protesta?

Si tratta di una compagine variegata: moltissimi sono operatori sanitari che si oppongono alla privatizzazione degli ospedali, che ritengono peggiorerebbe le già disastrose prestazioni. In un Paese dove, ancora oggi, i contagi sono più di 15.000 ogni giorno.
Tantissimi manifestanti sono studenti, musicisti, operai e contadini.
C’è poi gran numero di donne che rivendicano richieste ignorate da anni, prima fra tutte la depenalizzazione dell’aborto.
All’ombra delle Ande, in questa Nazione ai bordi del pianeta, ogni categoria si fa spazio nella folla e nello Stato per alzare la propria voce.

La Minga, speranza democratica del Paese

Pochi giorni fa Duque ha ritirato la proposta concernente la riforma tributaria, ma ancora non ha dato nessuna risposta alle altre fondamentali istanze dei Colombiani.
Ci sono un’infinità di continui attacchi alla democrazia e ai diritti civili e il centro di tutto ciò sembra essere la regione del Cauca con il suo capoluogo Cali.
L’Universidad di Cali, pacificamente occupata, è stata sgomberata dalla polizia e presa d’ostaggio per 5 giorni. Nella stessa città, i collettivi femminili denunciano stupri e il sequestro di almeno 7 donne.
Inoltre, secondo Indepaz, nei primi tre mesi del 2021, 27.435 civili sono stati sfollati da gruppi militari e paramilitari e dai guerriglieri del narcotraffico.
La droga, altro gigantesco problema, sfocia in guerriglie e veri e propri omicidi collettivi, spesso di ragazzi giovanissimi.

L’importanza delle terre indigene

Infine, sorge preponderante il conflittuale rapporto con le tribù indigene.
I territori indigeni, infatti, sono la mira dei gruppi illegali armati, che li utilizzano per l’indisturbata coltivazione della coca.
Nella regione del Cauca, Sandra Liliana Perez, una delle leader del movimento indigeno caucano, è stata assassinata proprio mentre tentava l’eradicazione di tali colture nella zona.
A seguito del suo omicidio, il 20 aprile scorso, il consiglio regionale indigeno ha convocata la Minga.
Si tratta di un’organizzazione sociale indigena che mira ad un radicale cambiamento del Paese.
Il risultato è stato un attacco nei confronti della stessa appena 3 giorni dopo la morte di Perez, nel corso del quale sono state ferite 31 persone con armi da fuoco.

Primavera

Eppure il popolo colombiano è dotato di una sorta di stoicismo.
Nelle città di Cali, ma anche a Bogotà e nell’estremo sud del Paese, vengono aperte delle mense popolari e nel frattempo le strade si animano di musicisti che incoraggiano la lotta.
Manca un anno alle nuove elezioni presidenziali in Colombia, quindi ora è tutto in gioco per sottrarre il Governo ai paramilitari.
Si prospetta un anno di rivendicazioni, alla base delle quali c’è proprio la Minga, già dietro le proteste studentesche del 2011 e agli scioperi agrari del 2013.

La Minga accoglie le istanze degli studenti, le necessità dei contadini, le correnti di Sinistra, e in generale l’imperante necessità di riformare le basi dello Stato.
Lo fa strizzando l’occhio soprattutto alla comunità indigena. Del resto, loro per primi hanno abitato la Colombia. Loro potrebbero riprendersela.
La Minga indigena adesso marcia ai bordi dell’Equatore, ai piedi delle Ande, in quel Sud delle Americhe che potrebbe finalmente vivere la sua definitiva Primavera.

Pubblicato da Giulia Matarazzo

Giulia Matarazzo, classe 2000. Studio Giurisprudenza ma nella mia testa sono la protagonista di Midnight in Paris. Se mi faccio una domanda, la risposta la scrivo

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