Ogni fedele o turista rimane colpito dalla bellezza di San Pietro. L’oro e l’argento generano all’occhio del visitatore un effetto visivo senza eguali. Senza volerci addentrare in riflessioni di carattere etico e religioso, in questo articolo vogliamo analizzare se lo sfarzo che il Vaticano ostenta, rifletta o meno lo stato di salute dei conti della Santa Sede.
Una premessa necessaria
Molto spesso si fa confusione tra il “Vaticano” e la “Santa Sede”, andiamo a fare chiarezza.
Secondo il codice di diritto canonico, «con il termine Santa Sede […] si intende il supremo organo di governo della Chiesa cattolica», cioè l’insieme degli organismi attraverso cui il Pontefice governa la Chiesa cattolica, ossia la Curia romana.
Dal punto di vista di diritto internazionale, la Santa Sede è quindi un’entità distinta dallo Stato della Città del Vaticano, che è il territorio di 0,44 km² su cui la Santa Sede esercita la sovranità.
I conti del 2019
Il 2019 è stato un anno positivo, anche se i conti del 2020 (non ancora pubblicati) sono attesi in profondo rosso. La Santa Sede rende noto nell’ultimo bilancio una perdita di soli €11 milioni, dai -75 del 2018, grazie ad un deciso miglioramento della gestione finanziaria dei portafogli. Nel dettaglio sono state registrate entrate per €307 milioni e spese per €318 milioni. Questo documento riguarda solamente la Curia romana: 60 “enti” tra dicasteri, uffici e fondazioni che compongono il governo centrale, al servizio del Papa nella sua missione di guida della Chiesa.
In base agli ultimi dati disponibili, il patrimonio netto della Santa Sede è pari a €1.402 milioni, valore certamente molto prudenziale. Se si aggiunge il bilancio del Governatorato del Vaticano – in cui sono ricompresi i Musei e le altre attività – l’Obolo (€66 milioni), lo Ior, il Fondo pensioni e delle Fondazioni si raggiunge un patrimonio netto di circa €4 miliardi. Estendendo il conteggio a questi enti, i proventi da essi generati annullerebbero il deficit registrato.

Come ha affermato il Prefetto della Segreteria per l’Economia, il gesuita padre Juan Antonio Guerrero Alves, il discorso legato al deficit Oltretevere è diverso da quelli degli Stati. «La Santa Sede non funziona come un’azienda o come uno Stato, non cerca profitti o eccedenze. È pertanto normale che sia in deficit. Quasi tutti i dicasteri sono infatti “centri di costo […]. Evitare il deficit non è l’obiettivo della Santa Sede. Il suo spirito è un altro».
Queste parole ovviamente non escludono la necessità di far quadrare i conti.
Per sostenere gli ingenti costi, tra cui figurano soprattutto le spese di “missione” (che assorbono il 65% dei costi totali), si osserva dai documenti come più della metà dei ricavi derivi dalla gestione dello stesso patrimonio. L’attività commerciale (ad es. visite alle catacombe) e i servizi hanno portato un 14%, cioè €44 milioni. Gli enti vaticani che non si consolidano in questo bilancio (Ior, Governatorato, Basilica di San Pietro) hanno contribuito per un ulteriore 14% delle entrate. Le donazioni delle diocesi e dei fedeli sono state pari a €56 milioni, cioè il 18%.
Le previsioni per il 2021 e un rosso da 50 milioni
In attesa dei risultati del 2020, il Papa ha dato il nulla osta al budget 2021, il deficit previsto ammonta a circa €50 milioni. Il budget, dichiara il comunicato dalla Segreteria per l’Economia, “è pesantemente influenzato dalla crisi economica causata dalla pandemia di Covid-19”. I numeri riflettono il momento difficile che attraversano tutte le amministrazioni su scala mondiale.
Nella nota diffusa dalla Sala Stampa vaticana, si informa che “per la prima volta, con l’obiettivo di dare maggiore visibilità e trasparenza alle transazioni economiche della Santa Sede, il Budget 2021 consolida il fondo dell’Obolo di San Pietro e tutti i fondi dedicati. La Santa Sede prevede un saldo netto di €30 milioni da questi fondi. Escludendo l’Obolo e i fondi dedicati – si precisa – il deficit della Santa Sede sarebbe di €80 milioni nel 2021”.
Il taglio degli stipendi
A seguito di queste non rosee previsioni, il Papa ha avviato in Vaticano una vera e propria Spending review. Attraverso la pubblicazione di una Lettera apostolica in forma di Motu Proprio, il Pontefice ha deciso di tagliare, a partire dal 1° aprile, gli stipendi al personale della Santa Sede, del Governatorato e di altri enti connessi.
I primi ad essere colpiti sono gli stipendi dei cardinali della Curia romana, con una riduzione del 10%.
È necessario però fare una distinzione tra il compenso di un cardinale delle diocesi italiane e un porporato della Curia. Vi è infatti una netta differenza tra Chiesa italiana (Cei) e Curia romana (Santa Sede). Un vescovo italiano (che sia cardinale o meno) rientra nel sostentamento del clero della Cei e il suo stipendio può arrivare a un massimo di €1.700 lordi mensili, più o meno 1.300-1.400 netti.
Al contrario la retribuzione dei porporati della Santa Sede prevede una somma ben più alta, che si aggira tra i €4.500 e i €5.000 netti (in Vaticano non ci sono tasse). Sono solo questi ultimi ad essere interessati dalla disposizione papale.
Ulteriori tagli dell’8% riguardano i compensi dei dipendenti della Santa Sede, del Governatorato e altri enti collegati che ricoprano ruoli di capi o segretari dei dicasteri.
È prevista infine una diminuzione generalizzata del 3% per i restanti dipendenti chierici o religiosi; un decremento che dunque riguarderà tutto il personale non laico.

Il futuro economico vaticano
Grandi Stati e aziende sono in grave difficoltà, messi a dura prova dalla crisi sanitaria ed economica. Rimandano i pagamenti al futuro, cercano di mantenere la liquidità e riducono le spese e gli investimenti per far fronte all’incertezza che si prospetta. Allo stesso modo un piccolo Stato come quello pontificio non potrà esimersi da queste necessità.
La riduzione dei costi è un imperativo necessario.
“Un futuro sostenibile economicamente richiede oggi, fra altre decisioni, di adottare anche misure riguardanti le retribuzioni del personale, […] con la finalità di salvaguardare gli attuali posti di lavoro”, scrive Papa Francesco nella Lettera apostolica. Oltre alle sopracitate spese del personale, sono state ridotti i costi per le consulenze, sospesi tutti gli eventi e posticipate le ristrutturazioni degli immobili.
C’è però bisogno del sostegno dei fedeli per contenere la discesa delle entrate. La diminuzione delle donazioni e dei rendimenti dei beni hanno obbligato il ricorso alle riserve dell’Obolo vaticano. È probabile che nel 2022 la liquidità dello stesso si esaurirà e sarà necessario servirsi del patrimonio dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica).
La Chiesa ripone le proprie speranze in una breve risoluzione della crisi generata dal Covid-19, favorita dall’attuale campagna vaccinale e dalle future riaperture che garantiranno maggiori introiti, per evitare ulteriori tagli, che possano minare la missione della Chiesa e del Santo Padre.