Il sistema pensionistico e l’analisi del caso italiano | Parte 2

Il sistema pensionistico e l’analisi del caso italiano | Parte 2

Prima di immergersi nel cuore del testo, consigliamo vivamente la lettura di un nostro precedente articolo cliccando qui, in cui definiamo i concetti principali che riguardano i sistemi pensionistici, al fine di comprendere a pieno le dinamiche descritte in seguito.

In questa seconda parte andiamo ad analizzare l’evoluzione della previdenza pubblica italiana nel corso della storia, delineando le prospettive future e le possibili soluzioni per garantirne una maggiore sostenibilità.

Evoluzione della previdenza pubblica in Italia

L’avvio del sistema pensionistico pubblico obbligatorio risale al 1919, anno in cui diviene necessaria l’assicurazione per invalidità e vecchiaia (già istituita su base volontaria nel 1898).

Inizialmente il meccanismo scelto è quello della capitalizzazione, tuttavia dopo la Seconda Guerra Mondiale, a causa di una forte ondata inflazionistica, i contributi accumulati per sostenere le pensioni avevano perso molto valore. Si decide quindi di passare ad un sistema a ripartizione, in questo modo le nuove pensioni non sarebbero più dipese dal valore delle risorse accumulate.

In quel momento storico la decisione presa era la migliore, perché la durata della vita media era inferiore rispetto a quella attuale e il tasso di natalità era elevato, ciò garantiva un rapporto tra popolazione attiva e inattiva favorevole. La scelta intrapresa è comune a molti Paesi europei, accompagnata dalla necessità di estendere a una platea più ampia le tutele assistenziali e previdenziali.

Tra gli anni ’50 e gli anni ’80 in Italia il sistema di welfare si estende ulteriormente, viene applicato il metodo di calcolo retributivo, si introduce la pensione sociale, aumenta il trattamento minimo e si diffonde il prepensionamento come strumento di gestione degli esuberi di personale.

A partire dagli anni ’90 questa tendenza si inverte. La prima causa è il rallentamento della crescita economica, accompagnato da un aumento della disoccupazione. La seconda è l’aumento dell’età media della popolazione, come riflesso di un aumento dell’aspettativa di vita e di un basso tasso di natalità. L’ultima ragione, ma non per importanza, è l’eccessiva generosità delle prestazioni pensionistiche concesse nei decenni precedenti, ne sono un esempio le “baby pensioni”, così rinominate perché concesse, soprattutto nel settore pubblico, con requisiti contributivi molto contenuti.

Si sono quindi succedute differenti riforme per far fronte alla grave emergenza per dei conti pubblici.
Ognuna di esse ha introdotto interventi finalizzati al graduale innalzamento dei requisiti anagrafici e contributivi minimi, per accedere alla pensione di vecchiaia, oltre che ad un’estensione del periodo preso come riferimento per il calcolo della prestazione pensionistica (basti pensare che prima di queste riforme si consideravano gli ultimi 5 anni di carriera per i dipendenti del settore privato e l’ultimo mese nel settore pubblico, noti per essere i periodi maggiormente remunerativi per i lavoratori).

L’unica riforma che ha garantito un cambiamento strutturale è stata la riforma Dini del 1995, in cui si ha il passaggio dal metodo retributivo a quello contributivo, il quale però non si applica a tutti, ma solo ai neoassunti e in parte a chi aveva maturato meno di 18 anni di contributi. La piena applicazione di questo sistema di calcolo si ha solamente nel 2011 con la riforma Fornero.

Elsa Fornero al Festival dell’Economia 2012

Trend e sostenibilità del sistema pensionistico

Secondo la dodicesima edizione del “Mercer CFA Institute Global Pension Index”, le prospettive della previdenza italiana non sono rosee. Lo studio mette a confronto 39 sistemi pensionistici su scala internazionale, con una copertura pari a quasi due terzi della popolazione mondiale. Le analisi si concentrano su tre macro-aree: adeguatezza (livello medio delle prestazioni erogate ai lavoratori), sostenibilità (percentuale di adesione a fondi di previdenza complementare e a fondi pensione) e integrità (livello di fiducia dei cittadini di ogni nazione)

Analizzando più da vicino i dati emerge come il sistema previdenziale italiano ottenga punteggi superiori alla media sul fronte dell’integrità e dell’adeguatezza. Il problema principale riguarda la sua bassissima sostenibilità finanziaria, che lo pongono all’ultimo posto della classifica in questa sottocategoria. In altre parole, i lavoratori delle nuove generazioni rischiano in futuro di non poter ricevere l’assegno pensionistico.

La crisi pandemica ha aggravato ulteriormente la situazione, causando una riduzione dei contributi lavorativi e un forte incremento del debito pubblico.
Secondo i dati della Ragioneria generale dello Stato, a partire dal 2019 e fino al 2024, il rapporto tra spesa pensionistica e PIL torna ad aumentare con un picco in corrispondenza del 2020. La spesa in rapporto al PIL è cresciuta significativamente a causa della forte contrazione dei livelli di PIL dovuti all’impatto dell’emergenza sanitaria che ha colpito l’Italia.

Spesa pensionistica in rapporto al PIL, fonte Ragioneria Generale dello Stato
Spesa pensionistica in rapporto al PIL, fonte: Ragioneria Generale dello Stato

Un altro trend molto preoccupante è quello legato al continuo calo delle nascite, che da tempo caratterizza il nostro Paese, a fronte di una speranza di vita che (fortunatamente) continua ad aumentare ed oggi si posiziona ad oltre 80 anni per gli uomini e 85 anni per le donne. Secondo le ultime stime questa tendenza determinerà nel 2039 il sorpasso del numero degli over 64 rispetto a quello degli under 35, come si evince dal grafico sottostante.

Under 35 e over 64 in Italia nel periodo 1959-2039, fonte: elaborazione Censis su dati Istat

Un ulteriore valore che genera profonda preoccupazione, è rappresentato dal rapporto tra il numero di italiani maggiorenni che hanno un’occupazione e quelli che percepiscono una pensione. Andando ad analizzare il dato, pari a 2.09, si scopre come l’Italia si collochi agli ultimi posti in Europa (fonte Eurostat), con un 46,4% di occupati contro un 22,2% di pensionati. Il corretto equilibrio tra il numero di lavoratori e di pensionati è determinante e risulta evidente che se i secondi si avvicinano troppo o addirittura superano in quantità i primi, il sistema pensionistico non può che andare in “default”.

La necessità di riforme radicali e un approccio multi-pilastro

Per l’Italia, dunque, il fulcro del problema è la mancanza di un approccio multi-pilastro al sistema pensionistico, che incentivi gli italiani a sottoscrivere forme previdenziali integrative. “In una prospettiva di medio-lungo periodo, è arrivato il momento di cercare un nuovo equilibrio, sia per le generazioni anziane, che potrebbero ancora voler contribuire al benessere più ampio del sistema Paese, sia per le giovani generazioni, che rischiano di dover pagare un conto insopportabile”, osserva Marco Valerio Morelli, amministratore delegato di Mercer Italia.

Le possibili azioni da valutare sono:

  • aumentare l’età pensionabile: una soluzione utile nel breve termine, perché in questo modo si andrebbe a riequilibrare in parte il gap tra pensionati e forza lavoro;
  • obbligo per i datori di lavoro di fornire ai propri dipendenti un piano pensionistico;
  • invogliare (attraverso agevolazioni fiscali e/o altro) i lavoratori alla creazione di una pensione integrativa, condizione necessaria per chi al giorno d’oggi intenda garantirsi una vecchiaia economicamente tranquilla.

Ovviamente le conseguenze sarebbero molte. Posticipando l’età pensionabile è facile prevedere l’opposizione delle varie sigle sindacali, probabili giornate di sciopero, senza dimenticare le possibili ricadute sull’occupazione giovanile.
Allo stesso tempo i datori di lavoro, già alle prese con una pressione fiscale tra le più alte al mondo, non sarebbero felici di essere costretti a fornire un piano pensionistico complementare ai propri dipendenti. Ciò incrementerebbe ulteriormente il costo del lavoro, già considerato eccessivamente oppressivo.

Tutto vero e condivisibile, ma a volte diventa necessario prendere decisioni difficili e coraggiose, attuando riforme anche radicali che possano inevitabilmente scontentare qualcuno. Ne va della sopravvivenza del sistema pensionistico italiano, del nostro futuro, del futuro delle prossime generazioni che si troveranno ad ereditare una situazione insostenibile senza alcuna colpa.

Pubblicato da Roberto Di Veroli

Nato nel 1996, due passioni lo accompagnano: l’AS Roma e i mercati finanziari. Studente di Finanza, da un lato affronta la vita come un’equazione, niente lasciato al caso, dall’altro ama il rischio e la volatilità delle borse. Come Albert Einstein reputa l’interesse composto l’ottava meraviglia del mondo.

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