Frammenti d’autore
“Mad Men” è una di quelle opere che ha lasciato un segno indelebile nel palinsesto televisivo; un capolavoro prodotto da AMC (la rete televisiva americana di “Breaking Bad” e “The Walking Dead”) e realizzato da Matthew Weiner (autore già al lavoro nei “Sopranos”). Articolata in 7 stagioni composte da 13 episodi, la storia ruota attorno ai “mad men”, gaudenti pubblicitari di Madison Avenue che hanno inventato la suddetta espressione per autocelebrarsi.
La trama
New York, anni ’60, la “Sterling Cooper” è una delle compagnie pubblicitarie più in voga del paese per merito del proprio direttore creativo, un certo Donald Draper, figura misteriosa da cui tutti attingono senza scorgerne il fondo. Il personaggio in questione è il cardine della “Sterling Cooper”, piccolo microcosmo di persone occupate da un gioco di ruolo tipicamente aziendale, dalla smania per l’ascensorismo sociale. Ecco che la narrazione si focalizzerà sin da subito su alcuni dei suoi membri, tra cui Peggy Olson (giovane segretaria di Draper), Pete Campbell (ambizioso contabile della “Sterling Cooper”), Joan Holloway (capo delle segretarie), Roger Sterling (capo dei contabili, nonché co-proprietario) e Bertram Cooper (il deus improduttivo della “Sterling Cooper”). Il risultato è il sommovimento incessante dettato da Draper e dalle sue idee; una perfetta metafora della affascinante collettività americana continuamente affascinata dalle icone e dall’iconismo (da notare l’assonanza con “Dapper”, in inglese “stiloso”). In realtà, il subbuglio serve in qualche modo a colmare il vuoto interiore d’ogni singolo e attribuirgli una ragion d’essere, sconfinando inevitabilmente nella repressione dell’io (grande tema comune a tutte le stagioni). Citando testualmente, “tu sei il prodotto e ora stai sentendo qualcosa”.

“ll nostro io è differenza di maschere”
Michel Foucault (filosofo francese, 1926-1984)
Il regno delle apparenze
o sulla bellezza come specchio del perturbante. È impossibile non rimanere lusingati dai suoi costumi, dai suoi slogan, dai suoi gesti; nel quadro, le vicende amorose s’intrecciano nei garbugli infiniti di chi sta cercando l’emancipazione proprio attraverso quei discorsi intrappolanti. In altre parole, gli stessi smarriti si avvolgono delle costruzioni a loro discriminatorie per affermarsi in quanto individui, così da non interrompere mai il circolo vizioso (a meno che i personaggi non s’evolvano). Dunque, “Mad Men” assolve la funzione di analisi di tali meccanismi: infatti, con l’espediente della compagnia, l’autore ci pone dietro alle quinte della pubblicità, mostrandoci tutte le invenzioni e ipocrisie che guidano l’opinione pubblica statunitense dagli anni ’60 agli anni ’80. Così, la televisione assume un ruolo fondamentale nella quotidianità e scandisce la vita dei suoi consumatori e non a caso tutti gli eventi più importanti sono segnati dal sopraggiungere di notizie tragiche sulla politica americana, ad esempio gli omicidi Kennedy e King. Eppure, l’ironia è padrona: in un contesto in cui maschilismo, sciovinismo e omofobia dilagano, frasi del tipo “In America non spariamo ai presidenti!” non possono che farci ridere a denti stretti.

Il luogo inconscio
Per via delle affinità con tematiche psicologiche, la “Sterling Cooper” si configura come un luogo dove segni e parallelismi proliferano, rendendo la ripetitività una virtù. Perciò tutte le scelte autoriali sono definite minuziosamente, non tanto nella regia, ma quanto nella ricostruzione degli ambienti: l’ispirazione ai melodrammi hollywoodiani degli anni ’60 e ai suoi abiti color pastello è evidente. Inoltre, la selezionatissima colonna sonora è in grado di intrattenerci durante l’intero spettacolo. “Mad Men”, dunque, deve molto alla creazione di un mondo estetico e narrativo compatto, rendendosi tuttora incredibilmente sexy e glamour, specchio dell’edonismo imperante in quegli anni.
“Quello che chiami Amore è stato inventato da gente come me. Per vendere calze”
Don Draper, (“Fumo negli occhi”, episodio 1)
Epilogo
“Fumo degli occhi”, episodio pilota di “Mad Men”, inizia con Don Draper alle prese di alcuni slogan, immerso nel caos di un bar e sospinto dagli effluvi dell’alcol. Scene successive: Don si consola da una donna; Peggy è entusiasta di accettare il suo nuovo lavoro tra lo scherno dei futuri colleghi; Don riceve la consulenza di una psicologa: nonostante le lamentele dei clienti per la loro velenosità, questa afferma che è inutile presentare le “Lucky Strike” come non dannose, proprio perché è un discorso a cui non crede più nessuno; piuttosto, si dovrebbe far leva sul desiderio inconscio di morte, vale a dire sulla volontà di reiterare un gesto per ricongiungersi a una pace definitiva, la morte. Inutile dire che tale consiglio va apertamente contro l’obiettivo della pubblicità e dei personaggi, i quali mentono a loro stessi mascherandosi. Il motivo è presto delineato e le riflessioni non sono mai fine a sé stessi: in fondo, non si tratta che di un affresco sulle grandi ombre del passato proiettate sul presente.