La “cultura dello stupro” cinese nei campi per Uiguri

La “cultura dello stupro” cinese nei campi per Uiguri

Ci sono almeno un milione di uomini e donne nei campi “rieducativi” per Uiguri in Cina.
Ogni notte all’interno delle celle nelle quali vengono rinchiusi, si sente solo il rimbombo delle urla di tutte le donne che vengono stuprate da “gruppi di uomini in maschera”.
Perché quei campi, propagandisticamente dipinti come luoghi di rieducazione, sono un inferno in terra che tutti conoscono ma nessuno vuole davvero denunciare. Qualche timida azione da parte dell’Unione Europea e degli Stati Uniti negli ultimi mesi della gestione Trump c’è stata, ma tra il rispetto dei diritti umani e la preservazione degli interessi economici tra le parti, ha finito per prevalere sempre il secondo aspetto.

La situazione degli Uiguri non è di certo nuova, perché da anni è scattata l’emergenza a Nord-ovest della Cina, solo che è tutto rimasto assopito. Anzi sembra tutto in continuo peggioramento.
La scorsa settimana la BBC ha riportato un’esclusiva nella quale molte vittime sopravvissute ai campi e liberate “per ragioni a noi sconosciute”, come detto da loro stesse, hanno descritto precisamente ciò che avviene al loro interno.

Ai detenuti viene imposto di tagliare i capelli; di fare test medici invasivi; prendere pillole e ogni 15 giorni sono costretti a “vaccinarsi”, con farmaci che causano nausea e intorpidimento. Le attività “rieducative” di cui parla il Partito Comunista Cinese sono ad esempio intonare per ore canzone patriottiche, vedere programmi di propaganda sul presidente Xi Jinping – il cui volto appare in ogni angolo dei campi – e imparare a memoria intere opere durante le lezioni. Ad ogni errore corrisponde una punizione di gravità sempre crescente in base al numero di volte che viene compiuto lo stesso errore. Si parte dal non mangiare e si arriva ad essere brutalmente picchiati.
Ma come si è arrivati a tutto questo?

La regione dello Xinjiang

Il “genocidio” degli Uiguri sta avvenendo nella regione dello Xinjiang, una regione autonoma nonché una delle più grandi a livello territoriale di tutta la Cina. Ricopre inoltre un ruolo cruciale a livello economico – 3 dei 5 corridoi economici attraversano la regione – e a livello geopolitico per via delle risorse energetiche di cui è ricca e per lo sbocco sul Medio Oriente. Si affaccia su Mongolia, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Afghanistan, Pakistan, India, la regione autonoma del Tibet e le province del Qinghai e del Gansu.

Le tensioni tra lo Stato centrale e la regione risalgono alla caduta dell’Unione Sovietica. Dopo il crollo del comunismo infatti la legittimità delle ideologie della Cina è stata messa in dubbio da molti paesi, che hanno richiesto l’indipendenza. Sono nati così molti stati indipendenti in Asia centrale. La spinta secessionista della regione è stata dipinta dal Partito Comunista Cinese come “terrorismo”, legittimando così la repressione nei confronti della popolazione locale come un’azione necessaria per mantenere l’integrità nazionale.

Un altro nodo da sciogliere per capire la complessità delle dinamiche, è quello riguardante la popolazione stessa. Nello Xinjiang il 46% degli abitanti è costituito da Uiguri, uno dei 56 gruppi etnici ufficialmente riconosciuti dalla Repubblica Popolare Cinese. Sono un’etnia turcofona di religione islamica di circa 11 milioni di individui, che non condividono i principi propugnati dallo stato centrale cinese e per questo vengono bollati come “terroristi”.

Nonostante il conflitto tra le parti vada avanti dal secolo scorso, è stato soprattutto a partire dal 2009 che il rapporto si è ulteriormente incrinato. Dopo la morte di due uiguri a seguito di uno scontro con il gruppo degli Han, gli Uiguri dello Xinjiang hanno organizzato una manifestazione in ricordo delle vittime. L’evento si è trasformato in uno scontro tra etnie – Uiguri e Han – e la polizia cinese. Il bilancio finale è stato di 184 vittime e l’arresto di 1434 persone.

 

Il pugno duro di Xi Jinping

Con l’avvento di Xi Jinping la situazione ha definitivamente preso la piega che porta alla storia degli stupri di massa degli ultimi anni. Sulla vita privata di Xi Jinping si sa ben poco, tutte le informazioni che si hanno sono costruite sulla base di indizi, indiscrezioni e minime certezze. La sua figura appare così intoccabile, quasi non umana. Basti però sapere che nel 2012 è diventato Segretario della Repubblica Popolare cinese e dal 14 marzo 2013 ne è diventato il Presidente. Il suo mandato non ha limiti, dal momento che nel 2018 l’Assemblea Nazionale del Popolo ha votato per la rimozione del limite di 2 mandati presidenziali.

Il punto di svolta negativo è arrivato dopo la visita di persona di Xi alla regione dello Xinjiang nel 2014. Da quel momento la politica adottata è stata quella del “colpire duro”, come detto dallo stesso presidente. Da quel momento Pechino per contrastare gli Uiguri ha incoraggiato l’insediamento degli Han sul territorio.
A Xinjiang vive l’1,5% della popolazione cinese, ma qui avviene il 20% degli arresti, sintomo dei pregiudizi e della lotta agli Uiguri. Le imposizioni alla natalità hanno portato la regione dai tassi più alti a quelli più bassi, con incentivi a non procreare. Per finire, se nel 2017 le moschee presenti nella regione erano 24 mila, ora sono arrivate ad essere 15 mila. Una distruzione umana e culturale.

Da anni ormai la regione è diventata uno dei luoghi più controllati al mondo: la polizia ogni giorno fa controlli di ogni tipo, da intercettazioni telefoniche di massa a procedure di riconoscimento facciale. Proprio a tal proposito qualche mese fa si era parlato di un software sviluppato da Huawei per individuare ogni Uiguro e facilitare la loro persecuzione.
Anche chi entra nel territorio è costretto a controlli ferrei: ogni movimento è controllato dall’installazione obbligatoria di un’applicazione.

La cultura dello stupro

Chi finisce all’interno dei campi? Chiunque, potenzialmente. Le motivazioni che giustificano la detenzione nei campi, rigorosamente senza processo, sono di ogni genere. Basta anche solo leggere un libro di storia uigura; indossare capi d’abbigliamento riconducibili all’Islam; essere attivi religiosamente o aver fatto visita a parenti all’estero.

Si stima ci siano circa tra i 400 e i 1.000 campi attivi nello Xinjiang. Non sono soltanto gli uiguri ad esser perseguitati, sebbene la loro sia l’etnia prevalente. Ma si parla anche di kazaki, kirghisi, hui e altre etnie turche musulmane e cristiane nonché alcuni cittadini stranieri con cittadinanza per lo più kazaka.

Prima è stato utilizzato il termine “genocidio” in modo non casuale: dal 1948 difatti la Convenzione per la prevenzione e punizione del crimine di genocidio parla di “genocidio demografico”, che è esattamente ciò che sta accadendo. La strategia utilizzata dalla Cina è quella di far estinguere da sola l’etnia uigura.

Un metodo utilizzato è quello delle sterilizzazioni di massa, dell’imposizione di metodi contraccettivi e degli aborti indotti all’interno dei campi. Alle donne vengono applicate spirali all’interno dell’utero impossibili da togliere se non attraverso operazione chirurgica, e sono obbligate ad assumere farmaci per via orale o iniezioni per prevenire le nascite. Ci sono anche casi di neonati uccisi.

In questo contesto si inserisce la “cultura dello stupro”, come viene definita da una donna intervistata dalla BBC che è stata liberata dal campo. Ogni notte le donne, che vivono in 14 all’interno di una piccola cella, vengono prese e stuprate da un gruppo di uomini in maschera. Lo stupro consta anche di morsi su tutto il corpo. “Predatori”, è il termine utilizzato da un’altra testimone.

Rieducazione

Quella che viene spacciata per rieducazione non è altro che un lavaggio del cervello. Ogni detenuto deve imparare a memoria le “126 bugie sulla religione”. “La religione è oppio, la religione è cattiva, non devi credere in nessuna religione, devi credere nel Partito Comunista”.
Durante il periodo di reclusione nessuno poteva chiedere notizie riguardanti la famiglia, che rimaneva all’oscuro di quanto stesse accadendo.

A livello di relazioni internazionali, come detto, si è fatto poco. La denuncia più forte è stata quella di Trump e Mike Pompeo poco tempo fa. Nel 2019, 22 paesi hanno firmato una dichiarazione all’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani in cui si chiedeva la fine alle detenzioni di massa.

Ma è troppo poco.
Lo sterminio degli uiguri deve cessare.
Il genocidio etnico deve essere fermato.
I diritti umani vanno tutelati.
Anche a costo di compromettere qualche rapporto economico.

Pubblicato da Federico Roberti

Da sempre guardo il mondo con gli occhi di chi ne è avidamente curioso. Da sempre provo a trasformare la mia curiosità in parole e in articoli. Da poco, pochissimo, sono il direttore di Zeta. Cosa vuol dire questo? Solo che mi guarderò di più intorno e le mie parole avranno un peso maggiore.

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