Studiate le sue fiamme. Ammirate come uno dei più grandi errori dell’uomo, come una delle più atroci ingiustizie umane sia tornata nuovamente fuori; facendo realizzare alle masse come forse, il razzismo, non sia mai stato sconfitto, e che in tutti questi anni dove è regnato il silenzio, forse era semplicemente mascherato. Si tratta di buchi. Poi arriva quel marinaio che fa un video ad un agente di polizia bianco che s’inginocchia sul collo di un uomo di colore, spezzandogli la vita, e la gente impazzisce, va nel panico, e s’accorge che la nave sta imbarcando acqua. E i più attenti, forse, capiscono che non ha mai smesso di farlo.
Friedrich Nietzsche nel diciannovesimo secolo ci raccontava che l’essere umano migliore, l’essere umano più libero, fosse colui che riuscisse ad andare oltre il bene e il male. Accettare la vita, con le sue tenebre e la sua luce, e andare oltre. Solo lì, soltanto raggiunto quel posto sopra ogni pregiudizio e vizio, sopra ogni necessità e timore, sopra ogni odio e amore, saremmo stati in grado di essere liberi, e come in questo caso, di pensare. Già, perché per pensare bisogna andare oltre. E adesso dobbiamo pensare, perché dobbiamo parlare, perché dobbiamo reagire. Perché? E’ tutto consequenziale. Iniziamo con il racconto dei fatti.

Il 25 maggio, a Minneapolis, veniva ucciso un uomo di 45 anni, George Floyd. In seguito ad una chiamata per una presunta contraffazione di documenti, la polizia ferma l’afroamericano, lo ammanetta, e inizia ad interrogarlo in strada. Questo è ciò che ci fornisce una telecamera di sicurezza del negozio di fronte. Ma sarà un altro filmato, quello del telefonino d’un passante, che accenderà la fiamma che sta facendo bruciare l’America da più di tre mesi. Vediamo George prono sull’asfalto, ammanettato, con il ginocchio dell’agente Derek Chauvin addossato sul suo collo, che preme con tutto il peso del corpo. Lo immobilizza a terra mentre la gente che passa si ferma sgomenta. Per sette minuti quel ginocchio non si è mosso dal collo di George, davanti al mondo intero che guardava. Già a metà Floyd aveva perso conoscenza. E’ morto non appena arrivato in ospedale. Letteralmente un omicidio in mondovisione. In America scoppia la guerra. Ma questo non basta.
Il 23 agosto, a Kenosha in Wisconsin, un agente di polizia sparava sette colpi di pistola a meno di un metro nella schiena di Jacob Blake, 29enne, davanti ai suoi figli di tre, cinque e otto anni. La polizia, allertata per una lite tra due donne, una volta arrivata sul posto ferma immediatamente l’afroamericano, intento in realtà a interrompere la rissa. Sempre tramite il filmato di un passante, possiamo vedere il momento in cui Blake si incammina verso la sua macchina, contenente nei sedili posteriori i suoi tre bambini, con alle spalle un agente che lo segue puntandogli una pistola. Blake apre lo sportello del posto da guidatore, e d’un tratto l’agente alle sue spalle gli afferra la maglietta, ed inizia a sparare.

Si sentono partire sette colpi nel video. Sette, come i minuti di Floyd. Sette colpi a meno di mezzo metro nella schiena, in faccia ai suoi bambini. Blake è stato portato d’urgenza all’ospedale di Milwaukee in condizioni gravissime, mentre i tre agenti presenti sono stati messi in congedo amministrativo temporaneo. Ad oggi i medici parlano di pessime condizioni, ma assicurano che Blake sopravvivrà. Molto probabilmente rimarrà paralizzato dalla vita in giù per sempre. Una settimana fa ha rotto il silenzio, postando un video sui social dal letto d’ospedale: “Ho male ovunque, fatico a respirare. Ve lo dico, cambiate la vostra vita. Restate uniti e rendete le cose più facili per la nostra gente, perché è già stato sprecato troppo tempo.” Queste le sue parole. Parole che hanno un sapore di paura e tristezza, ma un ancor più forte retrogusto di rivoluzione. Ma questo non basta.
Il 23 marzo, quindi due mesi prima del caso Floyd, a Rochester, Daniel Prude, afroamericano di 41 anni, veniva arrestato e ucciso in mezzo alla strada da una squadra di polizia. Anche qui si ricorre ad un filmato, reso pubblico soltanto il 3 settembre; ecco spiegato il clamoroso ritardo della notizia. Daniel era affetto da disturbi mentali, e aveva chiamato lui stesso il 911 per allertare la scomparsa del fratello. Le immagini prese dalla body cam dei poliziotti inquadrano, all’inizio, Daniel correre nudo in strada, in preda ad una sorta di delirio.
Ma non appena gli agenti lo intercettano e gli ordinano di inginocchiarsi a terra, Daniel ubbidisce, e mette le mani dietro la testa. Continua però ad urlare e ad agitarsi mentre lo immobilizzano. Poi gli agenti gli mettono un cappuccio sulla testa. Daniel, nudo e inerme, inizia a sentirsi mancare il fiato, e chiede di farsi togliere quello straccio. Di tutta risposta il poliziotto gli spinge la faccia sull’asfalto bagnato dal nevischio, e gliela tiene premuta con entrambe le mani. Le urla diventano gemiti, i gemiti suppliche. Poi un altro agente gli mette il ginocchio sulla schiena. A quel punto la voce si spezza del tutto. I poliziotti iniziano a preoccuparsi solo dopo alcuni minuti, quando dal cappuccio era iniziato ad uscire del vomito. Prude verrà trasportato in ospedale, dove non si sveglierà più, e morirà dopo sette giorni. La sindaca di Rochester ha sospeso i sette agenti coinvolti. Ma questo ancora non basta.

No, nulla di tutto questo basta. Come non bastano le marce, le manifestazioni e gli hashtag contro un paese che fa solo da specchio ad un mondo che non ha mai smesso di essere malato di ingiustizie. Non bastano i loghi, i cartelli, le frasi e le minacce per una società mercenaria, egoista, che persiste ad essere razzista, sessista ed omofoba, figlia ereditaria del codice genetico delle precedenti civiltà alle quali nulla è servito il lenitivo passaggio degli anni. Come non bastano, anzi peggiorano, le rivolte armate, il clima da guerra civile, gli incendi e la violenza che fanno ormai da regina autoritaria ad un paese stanco di autorità.
Guardate l’America adesso, guardate come brucia tra fiamme di ingiustizie e paure. Tra i timori d’un futuro che possa tornare ad essere quel passato che nel presente fanno studiare a scuola, proprio per quell’utopia di non farlo ritornare. Tutto questo non basta perché ormai alla gente di questo mondo non è sufficiente vedere uomini e donne morire in diretta Instagram, o gruppi che camminano in direzione ostinata e contraria alzando al cielo cartelli che pretendono uguaglianza. La gente deve pensare. Perché la gente deve reagire. Perché è l’ignoranza la madre di tutte le ingiustizie sociali che ci continuano a seguire negli anni. Perseguono perché è la stessa ignoranza a perseguire. Perché Floyd, Blake, Prude e tanti altri ancora sono morti a causa di pregiudizi, di smanie di potere, di immaginari collettivi, di paesi e persone bigotte e alienate. A causa dell’ignoranza. Ecco perché adesso bisogna pensare. E per farlo servirebbero migliaia di cambiamenti. Dalla scuola al governo, dalla famiglia al posto di lavoro, dai bar al parlamento.

Il razzismo, come tutte le ingiustizie, non si è mai fermato. Non è mai morto. Ci crediamo lontani dal fascismo, e in Nord Corea c’è la dittatura. Pensiamo alle bombe atomiche del ’45 con distanza e pietà, e la Russia ha le bombe nucleari. Studiamo i movimenti d’emancipazione dell’America del ‘900, e George Floyd viene assassinato in pubblico.
Finalmente adesso qualcuno sta iniziando a capire che la nostra nave sta imbarcando acqua da tempo. E che tutti questi fori non si sono creati soltanto in questo anno. Ma che ce li portiamo dietro da decenni, e siamo stati noi ingenui a crederli riparati. Perché abbiamo smesso di pensare. Di ragionare. Quindi non reagiamo. Nietzsche l’aveva detto: bisogna andare oltre per farlo. Oltre cosa? Oltre ogni cosa. Ma forse, nemmeno questo, basterà.
[…] quindi per scontato di vivere nel più totale rispetto del diverso, eccetto qualche eccezione di ginocchi che tolgono il fiato e simili, che ovviamente ne confermano la regola. È bene smascherare questo mito: percepiamo […]
[…] scorso anno sono avvenute 611 sparatorie di massa, con 513 morti e 2.543 feriti: quando si dice che nel 2020 l’America ha “bruciato”. Vero è che per bruciare servono delle fiamme: e cosa succede se un paese ti regala ogni giorno […]
[…] sono due degli infiniti casi e storie di afroamericani uccisi da agenti di polizia, con quest’ultimi che vengono assolti, a volte nemmeno processati. Il processo non è mai […]